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L'inferno dei mondi inimmaginabili

Uomini pallidi, vacui, castigati, vinti, in uno stato di fissità perpetua, passivi sotto il peso di una vita stracca. Questa l'immagine con cui Dino Buzzati definisce gli uomini del suo inferno in “Viaggio agli inferni del secolo”. In un mondo diverso, distante mezzo secolo dagli anni '60, ormai i ragazzi vivono in una situazione omologa, davanti al mondo del lavoro, sconfinato, dalle mille articolazioni interne e reputato quasi utopico da raggiungere. Si potrebbe pensare che ormai, data proprio la sconfinatezza di questo mondo, i ragazzi studenti possano avere una libertà estrema, esponenzialmente maggiore rispetto a quella che hanno avuto i loro genitori e nonni nella determinazione delle proprie scelte e del proprio futuro.

Un tempo, con un mondo lavorativo meno complesso, i ragazzi avevano dei punti di riferimento da usare per potere raggiungere il lavoro che desideravano fare, come uno scalatore ha dei solidi appigli da adoperare per arrivare alla vetta della montagna. Oggi, proprio questi appigli, davanti ad un mondo ormai velocemente rivoluzionatosi, hanno ceduto e sono impossibili da adattare. Ci si ritrova ad essere in uno stato di totale fissità morale e della volontà, già descritta con le stesse fattezze nel Secretum da Petrarca, uno stato di accidia quasi involontaria, senza sapere come muoversi, senza potere andare né avanti né indietro. Persino la scuola, istituzione formatrice per eccellenza, non aiuta i ragazzi a individuare dei punti di riferimento solidi, utili all'ingresso nel mondo del lavoro.

Paradossalmente proprio questo è diventato difficile da interpretare persino per i lavoratori più esperti, abituati ad un passato in cui anche l'obiettivo da conquistare era certo e definito. Ormai si riesce a vivere e a guadagnare grazie a lavori un tempo impensabili, nati con l'avvento di Internet, inventati, creati ex novo, nati da nuove esigenze dell'uomo inserito in contesti di vita difficili da vivere. Ma in un mondo che presenta tutte queste sfaccettature, troppo numerose da contare e che risultano troppo difficili da affrontare senza appigli, come si fa ad avere una destinazione fissa e determinata, come si fa ad avere una “verità certa”?

Pasolini sostiene che la “verità certa” di un tempo porta con sé tanta gioia, ma porta con sé anche la fine di tutto e che solo nel mondo di oggi, in cui governa il neocapitalismo, la mancanza di una verità stimola e spinge a continuare a lottare. Si è motivati a combattere per trovare una verità propria, spronati da intraprendenza e riscatto sociale che ci spingono a superare i nostri predecessori.

Se si discende però nel mondo sotterraneo dell'io (espressione usata da C. S. Nobili in “Inferno, in Luoghi della Letteratura Italiana), analizzandosi nel profondo sorge spontanea una domanda tanto prevedibile quanto dalla difficile risposta: per raggiungere questi obiettivi, queste autentiche verità, contro cosa esattamente è necessario lottare?

Se proprio ci si vuole ribellare all'accidia e alla fissità e si vuole cominciare a lottare ci si ritrova a combattere contro qualcosa di indefinito per raggiungere un obiettivo altrettanto indefinito appartenente ad un futuro difficilmente prevedibile, come il Don Chisciotte di Miguel De Cervantes, che combatteva contro dei mulini a vento, immaginandoseli come giganti minacciosi e nemici. Ci si ritrova, pertanto a lottare per un motivo che non riusciamo a concepire, per raggiungere un mondo inimmaginabile.

Forse resta solo un unico possibile progetto, quello esistenziale, che trascende il limite del tempo e dei ruoli sociali. Progetto che mira alla formazione e alla definizione dell'uomo in quanto tale, attraverso gli unici punti di riferimento possibili rimasti nella vita di noi ragazzi; quelli morali, ideologici, etici e culturali forniti proprio da scuola e famiglia; quelli con cui Primo Levi, come scrive in “Se questo è un Uomo”, riesce, anche nella realtà disumanizzante del lager, a mantenere vivida e chiara nella sua mente l'immagine di uomo, inteso come uno, e come elemento essenziale e fondante della comunità.

Insufficienti ad orientarci verso il mondo del lavoro, oggi, inferno dell'impossibile, delle disuguaglianze e delle frustrazioni, Scuola e famiglia costituiscono i ponti di transito per favorire il passaggio dal ragazzo all'uomo che può forgiare la propria esistenza con uno stile proprio, partendo da un calco unico ed irripetibile.


Dario Romano, 3C


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