Gaia Tantillo, studentessa del nostro Istituto, si è classificata in finale alle Olimpiadi di Filosofia 2022/2023. Ecco il suo saggio dell'ambito gnoseologico-teoretico con cui è arrivata prima nella fase regionale e che le è valso la qualifica alla fase nazionale!
Sebbene la comprensione del nostro intelletto sia assai ristretta rispetto alla vasta estensione delle cose, avremo tuttavia motivi sufficienti per esaltare il prodigo Autore del nostro essere per quella proporzione e quel grado di conoscenza che egli ci ha conferiti al di sopra di tutti gli abitanti di questa nostra dimora [...] Gli uomini troveranno sempre materia sufficiente per tenere operose le loro teste e occupate le loro mani in modo vario, dilettevole e soddisfacente, se non vorranno arrogantemente prendersela con la loro propria costituzione e buttar via i tesori di cui sono colme le loro mani, solo perché non sono grandi abbastanza per afferrare tutto. John Locke, Saggio sull’intelletto umano, libro I, cap. 1,3-7 (1690).
INTRODUZIONE
L'uomo occupa un posto scomodo nell'ordine del creato. Si sente superiore agli animali, in
virtù della sua capacità di pensiero, ma inferiore rispetto all'infinito della natura o, a
seconda dei casi, di Dio.
Questa condizione di medietà, analizzata a fondo da Pascal, porta l'uomo a sentirsi
infinitamente grande e infinitamente piccolo allo stesso tempo.
L'uomo non è un individuo in astratto, ma si ritrova immerso in precise coordinate spazio-
temporali, entro le quali operare. Posto dinanzi all'estrema varietà della natura, si pone il
problema di come egli possa rapportarsi a tale varietà, ossia come conoscere.
In questo testo, si analizzerà come l'uomo si pone nei confronti del reale e quali siano le
cause profonde che motivano il suo agire. Si sosterrà, inoltre, l'alto valore della scienza e la
sua insostituibilità, nonostante i suoi evidenti limiti.
PERCHE' L'UOMO DEVE CONOSCERE?
L'uomo si è accostato al problema gnoseologico con diversi approcci, ma, innanzitutto, ci si
deve chiedere: perché l'uomo sente il bisogno di conoscere? Già tale quesito mette in luce
l'intrinseca natura "curiosa" dell'uomo, il suo porsi domande anche sulle questioni più
elementari: la conoscenza è una tendenza naturale dell'uomo. Essa non è fine a se stessa,
ma legata ad un ontologico bisogno di "altro", di un superamento continuo dei propri
traguardi.
UN TENDERE FAUSTIANO COME MOTORE DEL PROGRESSO
Questo carattere faustiano, teso al raggiungimento di mete sempre nuove, può essere
compreso calandolo entro coordinate romantiche. Per i romantici tedeschi, l'uomo si
configura come un essere inappagato, attanagliato da ciò che chiamarono "Sehnsucht", ossia "desiderio del desiderio".
Una volta realizzato un desiderio, l'uomo, subito, brama qualcos'altro, in un vortice
continuo e potenzialmente distruttivo. In Schopenhauer, la volontà, ossia l'essenza
costitutiva dell'uomo, ha un carattere negativo, in quanto si desidera poiché ci si sente in
mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere ma non si ha.
Discostandosi dalla tradizionale interpretazione schopenhaueriana della volontà come "male
di vivere", si può dare una chiave di lettura positiva all'inappagamento ontologico
dell'uomo: la volontà di superarsi può essere vista come il motore stesso del progresso.
A portare avanti il progresso, infatti, è l'ambire a gradi di conoscenza sempre più vicini al
vero, l'incontentabilità di fronte a ciò cui si è pervenuti.
Ulisse può essere considerato la summa, in chiave mitologica, del "Sehnsucht": la sua sete
di conoscenza l'ha portato persino a sfidare i confini del mondo e ha superare le colonne
d'Ercole.
STRUTTURALIZZAZIONE RAZIONALE E CONOSCENZA SELETTIVA
A muovere l'uomo è la convinzione di superiorità rispetto a tutti gli altri esseri viventi e, in
virtù di tale superiorità, imporre il proprio dominio sulla natura, controllarla e piegarla alle
proprie esigenze. Da questa visione baconiana della natura, si capisce in che senso l'uomo
necessiti una strutturalizzazione razionale di essa, in quanto, limitato dal suo carattere
finito, non può incidere su qualcosa senza che sia essa stessa finita. Difatti, come dirà
Popper nella sua critica allo storicismo olistico, non è possibile conoscere un pezzo per
intero, anzi, neppure il suo minimo pezzo è conoscibile in toto, in quanto la conoscenza è,
per sua natura, selettiva. Si tratta, dunque, di ritagliare dei campi d'azione e su di essi
andare ad agire.
I LIMITI UMANI NELL'APPROCCIO CONOSCITIVO
Si potrebbe obiettare che, in realtà, la conoscenza sia una pura illusione, un modo per
esorcizzare il timore di un dubbio iperbolico. Del resto, rifacendosi a Kant, si opera una
distinzione tra ciò che l'uomo conosce, ossia il fenomeno, e la cosa in sè, il noumeno.
Proprio nel suo voler circoscrivere il reale è implicita la consapevolezza dei limiti dell'uomo.
Tanto più se si aggiunge il fatto che, non solo non si conosce che una minima parte, ma
essa è filtrata attraverso coordinate spazio-temporali e organizzata dall'intelletto in base a
delle categorie, che inevitabilmente si traduce in una sorta di muro o velo di Maya
schopenhaueriano che ci separa dalla verità.
Che senso ha spingersi verso forme più raffinate di conoscenza, se queste saranno fallaci?
in fin dei conti, la realtà percepita dall'uomo non è che un artifizio mentale, una costruzione
artificiale. Basti pensare al succedersi delle teorie scientifiche, di volta in volta smentite e
sostituite da nuove. Tanto affanno, e per cosa? Si ricordi la fine di Icaro, il quale volendo
sfidare i limiti umani, volò utilizzando delle ali di cera e, spintosi troppo vicino al sole, finì
per scioglierle e morire. Più in alto ci si spinge, più rovinosa sarà la caduta.
LA SCIENZA NON E' VERITA'
Si è obiettata l'inutilità della conoscenza data l'incapacità dell'uomo di cogliere il sostrato
ultimo della natura. Tuttavia, non si è tenuto conto del bisogno umano di certezze: l'uomo ha bisogno di un punto saldo a partire dal quale costruire un proprio sistema. Non è
importante che tale scoglio cui si aggrappa con forza sia vero in eterno: dire eternità e
scienza insieme è un ossimoro.
Per spiegare tale concetto, si ci rifarà alla concezione del filosofo Popper in merito. La
scienza si basa sulla falsificabilità, ossia sulla possibilità di poter dire di una certa cosa se
essa sia vera o falsa in base ad evidenze empiriche. Ne segue una declassazione di quel
procedimento induttivista che per secoli aveva diretto il metodo scientifico: il momento
dell'osservazione perde valore in quanto vi è una logicità asimmetrica tra verificabilità e
falsificabilità. Infatti, non basteranno mille osservazioni a sostegno della teoria per asserirne
la verità, ma basterà una sola osservazione contraria per dichiararla falsa. Esplicativo è, in
questo senso, l'esempio del tacchino induttivista di Russell, il quale, nella sua semplicità,
mette il evidenza il limite conoscitivo dell'induttivismo e, di conseguenza, dell'osservazionismo: abituato ad avere il cibo allo stesso orario ogni giorno, esso ne ha
dedotto una legge. Tuttavia, un giorno, invece di avere del cibo viene ucciso.
La diretta conseguenza è che qualunque teoria può venire smentita in qualunque momento.
Anzi, il fatto che una teoria sia valida non significa che sia vera, ma solamente che non è
stata ancora confutata. L'alto grado di corroborazione (come Popper chiama la tendenza di
una teoria a superarare le varie critiche che le vengono mosse contro) assicura, però, una
certa vicinanza alla verità. Si badi bene: vicinanza, mai "verità".
Nella critica al paragrafo precedente, si è dimenticata l'essenza stessa della scienza. Il suo
carattere fondante risiede nel suo continuo mettersi in discussione, nel gioco dialettico che
la configura come un "Aufebung" hegeliano, in cui si supera la precedente teoria,
conservando quanto vi era di "vero". La scienza, in sintesi, non è "verità", ma un connubio
di congetture e confutazioni.
LA RELIGIONE PUO' SOSTITUIRSI ALLA SCIENZA?
Si pone, adesso, un nuovo problema. Non sarebbe, forse, più semplice accettare l'intrinseca
limitatezza dell'uomo, e rifugiarsi nella religione? Essa offre già delle risposte e una
consolazione: benchè ignorante di quello che lo circonda, avrebbe una certezza circa il suo
destino. Non solo, ma non si avrebbe più la necessità di ricercare le cause dell'origine
dell'universo o il perchè di determinati avvenimenti, riconducendo ogni soluzione alle
"verità rivelate" delle religione o, più in generale, ad un volere superiore.
Inoltre, data l'impossibilità di una conoscenza onnicomprensiva, affidare ad un ente infinito
la spiegazione della realtà infinita sembrerebbe la scelta più saggia.
La religione è indubbiamente un'ottima cura per l'anima, e, se vogliamo dirlo in termini
pascaliani, credere in Dio non è che una scommessa vincente: se si vince, si vince tutto, se
si perde non si è perso nulla. Tuttavia, la sfera spirituale non deve inficiare quella
scientifica.
Sostituire la scienza con la religione vuol dire arrendersi e arroccarsi su posizioni stazionarie
di comodo: è sicuramente più facile accettare una risposta che viene servita pronta all'uso,
piuttosto che sforzarsi nell'indagine, incorrendo all'errore.
Così facendo, l'uomo opera una sorta di alienazione coscienziale da se stesso, ossia postula
un Dio sopra di sè, il quale non è che la proiezione dei propri bisogni. In altre parole, crea un Dio in funzione delle proprie lacune.
CONCLUSIONE
L'uomo, pur nella sua piccolezza di fronte alla vastità del reale, per sua natura costitutiva
necessita la demarcazione di confini entro cui poter agire. In altre parole, avverte il bisogno
di organizzare entro una struttura razionale e finita una realtà infinita, la cui essenza
profonda sfugge alla comprensione di una mente finita.
Definito il suo campo d'azione, l'uomo è naturalmente proteso verso la conoscenza e il
progresso, affidandosi all'indagine scientifica. Come detto, la scienza non assicura una
verità, ma si configura come una palafitta che poggia su un terreno incerto, continuamente
soggetto a revisioni. Nonostante il suo carattere instabile, la funzione della scienza è quella
di fornire un momentaneo punto saldo cui l'uomo possa aggrapparsi, per spiegare, di volta
in volta, il mondo quale gli appare.
Non è possibile sostituirla con la religione, in quanto, come postulato da Galilei, esse
operano su diversi campi e sospendere la ricerca scientifica porterebbe ad un
giustificazionismo religioso, con pericolose conseguenze.

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