"Sebbene è spento nel mondo il grande e il bello e il vivo, non ne è spenta in noi l’inclinazione. Se è tolto l’ottenere, non è tolto né possibile a togliere il desiderare. Non è spento nei giovani l’ardore che li porta a procacciarsi una vita e a sdegnare la nullità e la monotonia. Ma tolti gli oggetti ai quali anticamente si era rivolto questo ardore, vedete a che cosa li debba portare e li porti effettivamente. L’ardor giovanile, cosa naturalissima, universale, importantissima, una volta entrava grandemente nella considerazione degli uomini di Stato. Questa materia vivissima e di sommo peso ora non entra più nella bilancia dei politici e dei reggitori, ma è considerata appunto come non esistente. Frattanto ella esiste ed opera senza direzione nessuna, senza provvidenza, senza esser posta a frutto (opera, perché quantunque tutte le istituzioni tendano a distruggerla, la natura non si distrugge, e la natura in un vigor primo freschissimo e sommo com’è in quell’età); e laddove anticamente era una materia impiegata e ordinata alle grandi utilità pubbliche, ora questa materia cosí naturale e inestinguibile, divenuta estranea alla macchina e nociva, circola e serpeggia e divora sordamente come un fuoco elettrico, che non si può sopire né impiegare in bene né impedire che non iscoppi in temporali, in terremoti ec." -Giacomo Leopardi, Zibaldone (1 Agosto 1820)
Leopardi già nel 1820 introduceva un concetto che va aldilà delle utopie governative, dell’inclinazione o meno dell’uno verso un senso politico vivo, verso un pragmatismo eccessivamente schematizzato e ridotto ai minimi termini, al nocciolo della questione. Perché è vero che dal nocciolo del frutto si estrae la sua potenza riproduttiva, e dunque la sua continuità nel tempo, ma è anche vero che al nocciolo non puoi arrivarci se prima non gusti tutto ciò che c’è attorno, se non ti sazi della consistenza di quel frutto e, dunque, se prima non ne trai beneficio per te stesso. “Se è tolto l’ottenere, non è tolto né possibile a togliere il desiderare.”.
Vedete la politica come un frutto.
Iniziate a saziarvene, anche se, lo ammetto, siamo stati abituati così tanto a sentirci riempir la testa dell’importanza della frutta nell’alimentazione che quando ce ne parlano ci si torcono gli occhi all’insù. Abbiamo catalogato la politica nel gruppo delle cose a cui sarebbe “giusto” interessarsi, alla pari dei consigli dei nostri genitori del non fumare, di andare bene a scuola, di mettersi il casco, di lavarsi i denti prima di andare a letto, di tenere la schiena dritta, per dire che, anche a te che stai leggendo, già al secondo esempio ti sono venuti in mente tutti quelli a seguire.
Vedete la politica come un frutto, di cui saziarvi perché la politica, qualcosa, te la lascia sempre. Perché ti lascia quel senso di orientamento nel mondo che non ti dà solo le basi per agire, per
costruire (e dunque, il nocciolo) ma soprattutto i mezzi per capire dove ti stai muovendo, che cosa ti circonda. L’informazione politica è il nutrimento per te stesso che ti fa comprendere le circostanze, il frutto che magari puoi condividere con un amico e con cui puoi creare una stretta alleanza, un’intesa. Ma solo arrivando al nocciolo puoi coinvolgere una comunità, un popolo. Saziati di politica, perché la politica è ideologia, e un uomo non è un uomo se oltre ad essere carne non è pensiero.
Ci si innamora delle idee.
Ci innamoriamo dell’idea che ci creiamo delle persone, delle cose.
Ci innamoriamo dei nostri sogni ad occhi aperti, non ci innamoriamo del reale. Perché l’amore è immortale come lo sono le idee, altrimenti il sentimento morirebbe insieme all’oggetto d’amore.
Saziati di politica non solo quando si tratta di creare una conversazione: fallo perché nessuno deve essere il delegato della realizzazione della tua vita al di fuori di te. Fallo, perché potrai dire di aver fatto ciò che potevi, quando potevi, quando ancora “non era troppo tardi”.
Saziati di politica, informati perché peggio di non poter uscire da una situazione sconveniente, c’è
solo la finzione che in realtà, “alla fine”, male non si sta. “Alla fine” è la locuzione che usiamo quando vogliamo lavarci le mani da qualcosa, quando ci accontentiamo. “Alla fine”, perché vogliamo sorvolare su cosa c’è in mezzo, perché a pensarci si sta male. Ci si rende conto della propria situazione. E allora saltiamo “alla fine”, a tirare le somme per non soffermarci a pensare troppo, perché il pensiero è l’unica arma che porta al cambiamento, e il cambiamento terrorizza, perché si crede di aver troppo da perdere. E in realtà, ciò che più si perde, è proprio ciò per cui non ci si mette in gioco per paura. Perché peggio di perdere ciò che si ha, è non sapere cosa ci si perde.
Saziati di politica perché è vero che non si possono cambiare le cose, ma solo se non si sa cosa si vuole cambiare.
Saziati di politica, perché peggio di ritrovarsi in una situazione di svantaggio, è essere convinti di star vincendo; perché è quando sei convinto di essere invincibile che non fai più alcuno sforzo per seminare il tuo nemico; perché peggio di non cambiare le cose è mentire a sé stessi, preferendo di credere che non ci sia nulla da cambiare. -Margherita Billitteri, IVD
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