Introduzione
Nel 1968 Elsa Morante pubblica una rielaborazione
dell’Edipo a Colono con il titolo La serata a Colono,
che compare nel volume Il mondo salvato dai
ragazzini. Unica opera teatrale di Elsa Morante La
serata a Colono viene rappresentata per la prima volta
assoluta da Mario Martone che conferma così il
sodalizio artistico con Carlo Cecchi.
1. Trama
L’opera costituisce una parodia amara, così la definisce l’autrice, nel senso di uno sradicamento della dimensione mitica, ora contaminata con concetti esistenziali e culturali di cui i personaggi sono portatori.
La scena si apre in un affollatissimo ospedale psichiatrico di una città sudeuropea, cui il protagonista Edipo, cieco e malato di demenza senile, incontra la morte, mentre la fedelissima figlia Antigone, con l’aiuto dei medici, tenta di aiutarlo.
2. Personaggi e linguaggio
• Edipo: un uomo vecchio e logorroico, padre di Antigone.
• Antigone: una fanciulla analfabeta, dall’aspetto grezzo, che parla una lingua dialettale.
• Il coro: voci di corpi folli e malati, che non hanno più nessun autocontrollo.
Tra le novità della scrittrice c’è l’introduzione di moderni personaggi che attualizzano la vicenda: tre guardiani, rappresentanti del potere, il cui esercizio è debole; una suora, alla cui cura è affidato il paziente, ma si rivela una donna ipocrita e cinica, fingendo un amore caritatevole che non corrisponde alla realtà; un medico, rappresentanza di una scienza lontana che non presta servizio alle reali necessità del paziente.
Il linguaggio è caratterizzato da una variabilità di registri legati ai diversi personaggi, a partire da un registro basso per quanto riguarda Antigone, fino ad arrivare ad un registro più alto del narratore esterno che descrive le azioni compiute all’interno dell’opera con un linguaggio più preciso e un italiano formale. All’inizio del racconto è presente un narratore che proseguendo con la lettura tenderà a scomparire. È esterno, come anche la focalizzazione.
Edipo
All’interno della narrazione l’eroe greco si abbandona in un delirio di parole, straziato dalle ferite che si è auto inflitto. Edipo è tragicamente monologante in discorsi evidentemente turbati dalla
consapevolezza di aver sposato sua madre ed aver generato con essa 4 figli. Edipo, come egli stesso afferma, può “abolire i linguaggi usati e inventarne alcuni inauditi”, può straniarsi “da ogni significato verbale, vociferare una lingua dei misteri come gli ossessi e le sibille o emettere sillabe senza senso. O proferire soltanto dei numeri” .
Antigone
Antigone non è la fanciulla forte e solenne delle tragedie sofoclee, ma una “povera guaglioncella”
dall’aspetto quasi barbaro-popolare.
É un’analfabeta che parla in un linguaggio elementare e molto dialettale, costruito sulla contaminazione di una pluralità di dialetti dell’area meridionale.
Nei discorsi di Antigone è evidente l’uso insistente di formule assertive, costituite da termini tipici
dell’oralità popolare (esempio “signò” per rivolgersi agli estranei).
Le battute di Antigone sembrano disobbedire a qualsiasi regola ortografica e sintattica (parole scritte senza apostrofo, come “allamerica”, doppie errate “debbito” / “botiglia” , parole unite che dovrebbero essere separate “tuttiilibbri”).
Dal linguaggio della giovane possiamo inoltre capire meglio la società italiana degli anni ’60, figlia del secondo dopo guerra, fortemente patriarcale.
Questa fanciulla con piccole bugie cerca di rassicurare il padre cieco, accudendolo con una
amorevolezza infinita, e divenendo per lui risarcimento dei tanti mali subiti. Si fa immagine e simbolo della dedizione e della nobile offerta di fedeltà per un padre ingrato.
Coro
Intorno alla scena si muovono voci e corpi di altri pazienti che nel corso del monologo si aggiungono alla narrazione e, alternandosi ai medici, alimentano una struttura parodistica fatta di citazioni, canti aztechi, echi della Beat Generation e visioni allucinate. Si tratta del coro, il cui ruolo assume un’importanza fondamentale: commentando frasi senza senso, al limite del surrealismo e del nonsense diviene simbolo di un’opinione pubblica svuotata e divorata da se stessa, senza più parametri di giustizia sociale.
3. Monologo esteriore di Edipo. L’influsso teatrale di Artaud
Tra padre e figlia c’è una prossimità fisica, una vicinanza dei corpi, un riconoscimento fisico, ma il
dialogo è qualcosa di impossibile. Il testo infatti è definito dalla scrittrice come un “monologo esteriore”.
L’effetto che si ottiene mescolando monologo esteriore e narratore esterno è uno stato di disagio
interiore, tale da mettere il lettore in una condizione di turbamento.
Quest’effetto è ottenuto grazie all’influsso teatrale di Artaud, una forma di teatro (che sarà di
ispirazione per altre forme di scrittura) ideata da Antonin Artaud nei primi trent'anni del Novecento. Si tratta di uno spettacolo teatrale in cui sono impiegati tutti i mezzi d’azione atti a scuotere e sconvolgere lo spettatore, ottenendone la partecipazione incondizionata.
4. La trama della Guerra e gli effetti a livello psicologico: il PTSD
Da un punto di vista psicologico ogni individuo presenta modelli mentali specifici che gli permettono di gestire e comprendere la realtà. Quando si affronta un'esperienza traumatica come la guerra, ogni individuo si trova di fronte a un mondo che non ha più senso, entra in uno stato di inattivazione percettiva, motoria ed emotiva, spesso accompagnata da un senso di depersonalizzazione e dissociazione, motivo per cui gli individui possono sperimentare un appiattimento emotivo post-traumatico che impedisce anche alle emozioni positive di affiorare (PTSD). La mente dei soggetti affetti da PTSD lascia filtrare ricordi, emozioni, sensazioni, portando a quella che in psicologia viene definita coazione alla ripetizione. In altre parole, la mente presenta sempre la stessa scena in un loop infinito, cercando di trovare una spiegazione, e di dare un senso a ciò che è stato vissuto o che continua a vivere.
5. Follia, Amore e dolore
Nel racconto di Elsa Morante, Edipo è un uomo che, nel suo delirio, dichiara di aver visto l’irrealtà; un uomo che assorbe e consuma su di sé la colpa e il dolore del mondo. Diventa egli stesso simbolo della follia, della cecità di una cultura di morte, quella che Elsa chiama l’irrealtà. Il dolore di Edipo, incarnato dal coro che riporta la sua voce interiore, è in un continuo crescendo e lo accompagnerà fino alla sua tanto agognata morte.
6. Vita e morte: le 7 porte
Elsa Morante offre al lettore un’occasione per riflettere su tematiche di ogni genere.
In questo caso il tema della vita viene presentato nell’opera mediante la riflessione di Edipo su una scala colorata di 7 porte.
La vicenda termina quando Edipo ingerisce la pillola che gradualmente lo condurrà ad un sonno
perenne. È proprio in questo momento che entra in una fase di limbo tra vita e morte, in cui voci
incessanti di fate lo tormentano nel corso dell’intero viaggio.
Edipo immagina il percorso di vita come un cerchio. L’inizio coincide con il risveglio dalla morte. Da una condizione di vuoto, torna ad ammirare le bellezze della vita. Vede “i prati e tutti i fili d’erba che li compongono” e sente intorno a lui “il vento che li muove in tutte le direzioni”. La calda brezza giunge alle porte di una casa, immaginata attraverso gli occhi sofferenti di un soldato in guerra che, in un momento di serenità, ripensa ai momenti d’infanzia. A questo punto il percorso arriva alla porta rossa, la pubertà, dove emergono le sensazioni che si vivono nell’affrontare le prime trasgressioni e i primi amori.
Proseguendo Edipo inizia a riflettere su quel momento della vita a cavallo della morte; quel momento in cui la vita sta per finire e, come per ossimoro, la mente riporta alla memoria tutti i momenti belli vissuti; è la fase in cui tutti i pezzi trovano il proprio posto come “la goccia che si trova dove si incontrano tutte le iridi”.
Al termine del viaggio arriva la morte, fase tanto desiderata da Edipo che “tanto voleva
tornare al corpo dove è nato”: è giunta la fase torna a vivere in un altro corpo. È evidente il richiamo alla reincarnazione, il concetto religioso di rinascita dell'anima o dello spirito di un individuo, in un altro corpo fisico, un certo tempo dopo la morte. La fine coincide col vuoto: Elsa Morante non ci dà alcuna descrizione di quest’ultima porta, non le attribuisce neanche un colore. Per questa ragione è ritenuto uno stadio non appartenente né alla vita, né alla morte, bensì una fase di passaggio tra le due.
(A cura di Caterina Agnello, Marco Battaglia e Orazio Monastero della 3A del Liceo scientifico A. Einstein)
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