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Un giorno in Costa d’Avorio

A cura di Dario Bonello, Hamza El Guendy, Alberto Ginestra, Silvia Petitto, 3A


La cultura di un Paese è frutto della complessa tradizione di un popolo che si è sviluppata nel corso dei secoli e che si è insediata così profondamente nella mente e nel corpo delle persone da divenire,quasi, un secondo DNA. Essa comprende usi, costumi, cibi tipici, una determinata concezione della sfera familiare e sociale; essa foggia il modo di percepire e considerare la stessa umanità. Persone provenienti da paesi diversi, con culture diverse, avranno a loro volta degli atteggiamenti e pensieri diversi, così differenti da non poter neppure immaginare di convivere o di trovare punti di contatto. Tuttavia, è assolutamente possibile che persone così "diverse" possano incontrarsi, scoprirsi ed apprezzarsi e dunque vivere gomito a gomito nello stesso quartiere, nello stesso condominio senza troppe difficoltà.

Nella giornata del 19 aprile, gli studenti e le studentesse della classe 3A, durante uno degli incontri pomeridiani del progetto di Alternanza Scuola Lavoro sul tema dei Diritti Umani, svoltosi nell’Aula Magna del Liceo Scientifico Statale Albert Einstein, hanno incontrato e dialogato con l'ivoriano Jacques Mel Aka. Amichevole, solare, disponibile, così si è dimostrato sin da subito, e durante tutta l'intervista, il sig. Aka, intrattenutosi per più di un’ora con studenti e studentesse curiosi di confrontarsi con chi ha avuto più esperienze di vita. Jacques Aka nasce ad Abidjan negli anni '70, in una famiglia molto numerosa (prima erano 30 figli in tutto). Stenta a spiegare come si possano avere tanti fratelli ed il mistero non tarda a dissolversi nel momento in cui si comprende che se nel nostro occidente sono tante le relazioni extraconiugali occulte, in Costa d’Avorio, almeno nella parte più tradizionale, il concubinaggio manifesto è ammesso ed i figli sono tutti riconosciuti dal genitore maschile. Il sig. Aka è alto più di due metri, si rischia un’infiammazione alla cervicale a guardarlo, per fortuna decide di sedersi. La sua pelle è del colore dell’ebano, è magro ed ha uno sguardo intenso e caldo, veste in stile "old school". Le incalzanti domande degli studenti prendono spunto dai motivi del suo trasferirsi qui in Sicilia. Il sig. Aka non è arrivato in Italia su un canotto, un barcone, ma comodamente in aereo. Ha studiato in un Liceo ivoriano, in cui vige un sistema scolastico assai simile a quello francese. Ha deciso di spostarsi in Italia all'età di trent'anni, quando ancora aveva dei capelli, perché, come spiega, "Avevo già i miei fratelli che vivevano qua. Come prima esperienza fuori dall'Africa era meglio iniziare in sicurezza". Inoltre, aggiunge, "L'Italia la conoscevo fin da piccolo, quindi la immaginavo come un paese normale. Dovunque si parlava dell'Italia in televisione, della "mafia", del Milan. Del Milan sentii parlarne già all'età di 8 anni e sono ancora un tifoso."

Giunto a Roma, la sua prima vera difficoltà è stata comprendere l'italiano. Quando è arrivato non riusciva a farsi capire, nessuno parlava francese, lingua a lui perfettamente nota, né l'inglese. Così capì che occorreva imparare l’italiano: con volontà e impegno ha deciso di frequentare un corso (che tuttora segue). Trasferitosi a Palermo, scopre la sua vera vocazione, un lavoro che lo diverte molto: "Disturbare gli anziani", come dice lui. Con questa locuzione, aggiunge: "Questi anziani, seduti tranquilli, li devo disturbare dicendo «Devi prendere questo, quello, devi mangiare...»". Il sig. Aka aggiunge che gli anziani sono persone che sono sole e necessitano di aiuto. Persone che prima erano autosufficienti e adesso devono essere “disturbate” per non farle sentire abbandonate. “Anche noi un giorno, avremo bisogno di questo”. Jacques è in grado di farci riflettere sul fatto che in Costa d’Avorio gli anziani sono parte della famiglia, non vivono da soli, mentre "La maggior parte di quelli italiani vengono portati alle case di riposo". Sono parte integrante della comunità familiare. “Faccio il badante", conclude.

Nonostante gli manchi la sua famiglia, rimasta in Costa d'Avorio, qui ne ha formata una nuova, composta dai suoi fratelli e dai suoi amici che considera come veri e propri fratelli o sorelle. Infatti, parlando con noi, dice che "Il senso della famiglia ha per voi un significato eccessivamente ristretto. Quando vedo una persona, io non guardo il fatto che non abbiamo gli stessi genitori, io vedo il cuore della persona". Per lui vivere significa essere spensierati, stare bene con se stessi e con gli altri, e consiglia a ciascuno di noi di non avere repulsioni verso il nostro prossimo e di non limitare le nostre relazioni interpersonali basandoci su pregiudizi infondati.

Il tempo scorre via senza rumori e ben presto ci accorgiamo che l’incontro è finito. Quest'intervista ci ha fatto capire che le barriere culturali tra due popoli diversi possono essere superate senza troppi problemi. Il fatto che il migliore amico di Jacques sia proprio italiano, o che lui ami mangiare la tipicamente palermitana pasta al forno sono esempi di come l’accettazione di una cultura altra da parte di chi ne possiede una propria, sia un traguardo raggiungibile. Questi incontri permettono un profondo scambio di culture e di pensieri tra due persone diverse, consentendo ad entrambi di imparare e trarre importanti lezioni di vita, facendo sì che ciascun cambi pur mantenendo qualcosa di sé.





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